Gesù lasciava che le persone (e in particolare i malati) lo toccassero, lasciava che entrassero in con-tatto con il suo corpo. I Vangeli raccontano del tocco di tanti malati, di una prostituta, dei discepoli, delle folle. Sappiamo dell'emorroissa, della prostituta in casa del fariseo Simone, di Tommaso dopo la risurrezione (Cf: Mc 5,25-34; Lc 7,36-50; Gv 20,19-25). Nessuna di queste ricerche di contatto viene rifiutata da Gesù. Il Messia atteso da Israele è un uomo che desta curiosità, il suo corpo è oggetto di cure e attenzioni, la realtà «tocca» Gesù e chiede di essere da lui toccata, guarita, salvata. E in risposta a questo desiderio Gesù stesso tocca i malati: tocca il lebbroso per guarirlo, tocca gli orecchi e la lingua del sordomuto per aprirli, tocca gli occhi del cieco per ridargli la vista, tocca il morto per risuscitarlo (Cf: Mt 8,1-4; Mc 7,31-37; Mc 8,22-26; Lc 7,11-17).
Toccare è umanamente il senso fondamentale, il primo a manifestarsi in ciascuno di noi (il bambino già nel grembo ha relazione tattile), ed è anche il senso che più ci coinvolge e ci fa sperimentare l’intimità dell’altro. Toccare è sempre vicinanza, reciprocità, relazione, è sempre un vibrare dell’intero corpo al contatto con il corpo dell’altro.
In questi giorni le risposte di carattere igienico-sanitarie agli eventi legati all'epidemia del virus Covid-19 hanno coinvolto anche le celebrazioni eucaristiche con alcune limitazioni. Una su tutte la necessità di non ricevere la comunione in bocca, sulla lingua ma solo ed esclusivamente sulle mani. Un gesto che oltre a permettere la comunione sacramentale al Corpo di Cristo sulle sue parole «prendete e mangiatene tutti» permette anche questa esperienza estremamente radicata nel Vangelo del toccare il Corpo di Gesù.
Di fronte a questa indicazione, vissuta nelle parrocchie in obbedienza alle decisioni della Curia e del Vescovo della Diocesi di Lugano, alcune persone preferiscono rinunciare a comunicare al Corpo di Cristo, piuttosto che toccarlo con le mani e non potendo ricevere la comunione in bocca rinunciano alla stessa. Al tempo di Gesù le persone «supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati» (Mc 6,56). Per questo la corporeità è la realtà attraverso la quale entriamo in contatto con il Signore nei sacramenti: un'acqua che bagna nel battesimo, un olio che unge la fronte nella cresima, ancora olio che unge fronte e mani nel sacramento degli infermi, le mani degli sposi che si stringono per scambiarsi il consenso matrimoniale, l'unzione sacerdotale nelle mani. Di fronte a questa esperienza di fede che risale direttamente alla scelta fondamentale di Dio di vivere l'incarnazione, di assumere una presenza realmente corporale nel creato, il desiderio di partecipare alla comunione eucaristica non può e non deve essere arrestato dalla contingenza igienico-sanitaria, essa può anzi diventare occasione per scoprire una dimensione nuova dell'incontro con Lui che passa anche dal «poter toccare» la sua presenza reale per vivere la sua salvezza. Lo scrupolo di non toccare il Corpo di Cristo con le mani non può portare alla rinuncia alla comunione, un impedimento contingente non deve impedire l'accostarsi al sacramento Eucaristico. L’accoglienza nelle mani o nella bocca non ha maggiore valore in base all’arto o all’organo che lo riceve, ma dalla devozione e dal rispetto del corpo – tutto – che lo riceve, quel corpo che secondo San Paolo «è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio» (1Cor 6,19).
don Marco