Che bello quando suona il campanello

Un tempo ero una campana. Per l’inizio, la fine, la ricreazione. Il mio tintinnare risuonava nelle case, s’addentrava nei vicoli, come richiamo familiare. Qualcuno era incaricato di attaccarsi alla mia corda, a orari precisi. Se c’era il bidello, toccava a lui. Poi sono diventato un campanello. Filo elettrico e pulsante. Meno spontaneo e meno vicino alla gente, pur continuando a dipendere da chi poteva anche sbagliare o dimenticarsi. Oggi? Sono memorizzato, programmato, computerizzato. Orari, giorni, feste. Anche se lo volessi, non potrei sbagliare. Mi chiamano gong e mi rivestono di note, quasi una melodia. Metallica. L’effetto non cambia: come attacco, si muovono tutti. Chi esce, chi entra, chi cambia aula. I più mi seguono subito; altri arrivano dopo o partono prima, anticipando il mio rintocco. Le reazioni? Sono come la sveglia. Chi la guarda - e soprattutto la sente - con simpatia? Però quando dico: tutti a casa, mi sono grati. Cambiamenti? Ne ho visti un sacco: fanno parte del vivere; altrimenti si andrebbe avanti a fotocopie. Solo le facce restano quelle: sorridenti, stanche, stufe, anche timorose a dipendenza di docenti e materie da incontrare quel giorno. Gli occhi soprattutto non cambiano: riflettono il cuore. Gli allievi? Dai tempi del grembiule obbligatorio ad oggi, sembra un’eternità. I docenti? Giacca e cravatta, allora, come una divisa; ora capita di confondere quello al debutto con l’alunno dell’ultimo anno. E la cosa mi piace. Zaini e cartelle? Simpatici i colori che hanno fatto fuori nero e marrone. Solo il peso non è cambiato. Meglio oggi o ieri o l’altro ieri? Boh. “Ai miei tempi…”, parole ricorrenti. Scontate. Quando ero ancora una campana, il primo giorno, la frase di alcuni maestri (non tutti) era inevitabile: mai avuto una classe così. Dove quel “così” era sentenza severa e sovente ingiusta. Sono diventato un campanello e quella frase l’ho sentita ancora. Oggi sono un gong e la capto di nuovo. Quindi? Non sta a me tirare conclusioni. Sono soltanto un campanello, il cui compito peraltro non è cambiato: far cominciare, finire, entrare, uscire. Dalla scuola, da un’aula, da una materia all’altra. Tutto qui. Ma fra l’uno e l’altro dei miei richiami… qualcosa di importante avviene. E quei ragazzi, da un anno all’altro… imparano la vita. E’ la materia più importante; se non c’è, le altre valgono poco. Forse nulla. Ho visto bambini accompagnati dai genitori e li ho visti ritornare per accompagnare a loro volta... Insomma: una ruota che gira. Io continuo a segnare il tempo: minuti, giorni, anni. La vita. Da settembre a giugno. Poi di nuovo. Buon anno.


dal vostro campanello