SABINO CHIALÀ
PRIORE DI BOSE
Il Sinodo può essere una grande opportunità per la Chiesa, tenuto conto che attraversiamo una stagione estremamente critica in cui non è più possibile evitare una riflessione seria su ciò che sta
succedendo intorno a noi e dentro la comunità cristiana. E non è più possibile lasciare che siano solo alcuni a riflettere e a decidere: serve il coinvolgimento di tutti.
Il libro che dovremmo più meditare in questa fase sono gli Atti degli apostoli: una grande provocazione al discernimento di fronte alle sfide concrete che le prime comunità cristiane
incontravano. Ed è anche un libro di grande creatività. Pensiamo ad esempio al cosiddetto Sinodo o Concilio di Gerusalemme dove un gruppo di ebrei decide che possono diventare discepoli di Gesù
anche i pagani. Forse noi oggi non percepiamo bene l’enormità della scelta, il tipo di sconvolgimento che ha comportato. A Gerusalemme, insomma, si decide che era possibile un altro modo di
Credo, così anche oggi come allora dobbiamo aprirci a prospettive nuove. Non dobbiamo avere paura – ad esempio – della partecipazione delle donne alla vita ecclesiale, non dobbiamo avere paura di
interrogarci sulle famiglie ferite o su altri temi che possono apparire scottanti.
La vita monastica ha una sua vocazione sinodale, che esprime ad esempio la capacità di riadattare il proprio quadro alle situazioni che, man mano, si avvicendano. In fondo la comunità monastica,
dal punto di vista sociologico, è una struttura tra le più fragili e complesse, in cui vivono fianco a fianco persone che sono assai diverse quanto a origini, mentalità, età e, come nel nostro
caso, anche confessione religiosa. È un grande laboratorio della diversità, con tutti i drammi che comporta, perché elaborare la diversità è molto faticoso. Ma o si accetta questa sfida oppure
non è possibile una comunità che cresce: si diventa una comunità di simili, in cui per stare insieme bisogna standardizzarsi: una delle situazioni più mortifere che possiamo riprodurre.